Suona l'una L'utopia della Gioia: genesi e fortuna della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven
L'utopia della Gioia: genesi e fortuna della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven
Mai, in tutta la sua produzione sinfonica, Beethoven aveva fatto ricorso alle voci, a un testo. Mai fino al 7 maggio 1824, quando a Vienna - due secoli fa - debutta la sua Nona e ultima Sinfonia, che nel movimento finale affida ai solisti e al coro le parole dell'Ode alla Gioia di Friedrich Schiller. Quali sono le ragioni di questa scelta? Perché soltanto ora sviluppa in maniera così monumentale un motivo che lavorava dentro di lui da molti anni? Credere che la lieve ala della Gioia possa posarsi su di noi, credere che gli uomini, divenuti uno all'altro fratelli, si possano tutti abbracciare, credere che tra noi esseri umani, la natura e l'Universo possa esistere un percorso di comune e condivisa armonia. Credere che "oltre la volta stellata debba esistere un Padre che ci ama". Questo è l'aspetto utopico di una musica che è diventata l'Inno dell'Unione Europea, ma che è stata anche l'inno della Rhodesia razzista, e che Stanley Kubrick, in Arancia meccanica, ha scelto come colonna sonora delle scene più violente. Ogni volta che la ascoltiamo, nella potenza della sua concezione unitaria, nella sublime dolcezza di alcuni passaggi, nell'entusiasmo che è capace di suscitare, sentiamo la sua necessità. Anche soltanto per renderci conto di quanto quegli ideali appaiono a lontani, forse irraggiungibili. Eppure necessari. L'utopia della Gioia: genesi e fortuna della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven, di Sandro Cappelletto, a cura di Federico Vizzaccaro.